“Guarda. Guarda.” diceva piano, tirandomi gentilmente la manica della giacca “Lo vedi? Eh? Su, lo vedi? Le cicatrici non si vedono quasi più.”
Il mio occhio ci cadde sopra inevitabilmente. Cadde sopra al suo avambraccio. All’avambraccio di quel perfetto sconosciuto. Un braccio forte, senza ombra di dubbio, e atletico, anche; non possedeva lineamenti particolarmente marcati, piuttosto una corporatura definita e modellata dalla natura più che dall’esercizio. Forse un tempo era stato un braccio scattante, muscoloso, capace, ma ora non si poteva definire tale a causa dei numerosi tremori che gli facevano perdere la stabilità. La pelle non era candida sotto i peli che iniziavano a ingrigirsi, ma non si sarebbe potuta nemmeno definire abbronzata: era di quel pallore giallognolo lascito di una precedente abbronzatura malsana che carbonizza la pelle. A parte quello non riuscii proprio a notare altro. La carne era immacolata.
“Lo vedi?” continuava a ripetere l’uomo, con quella sua voce rauca che fondeva insieme l’impazienza e lo stupore, quasi fosse indeciso su quale atteggiamento assumere. Ogni volta dava leggeri strattoni alla manica del mio cappotto.
Un soffio di vento mi fece rabbrividire dentro la camicia bianca ed il pullover di lana. Erano gli inizi di un Autunno che si preannunciava decisamente rigido, uno di quegli autunni che con vento e umidità rendono la pelle arida come un deserto. Il tizio che mi aveva fermato per la strada non aveva nè camicia nè maglione, ma indossava solo un pastrano evidentemente troppo grande per le sue spalle sporgenti e così lungo da creare un effetto grottesco con un paio di jeans graffiati e rovinati a coprirgli le gambe. Sembrava talmente preso dalla sua visione, comunque, che pareva non accorgersi del freddo.
“Le cicatrici non si vedono quasi più.. Dì un po’, lo vedi?”
Lo guardai in viso, sforzandomi di staccare gli occhi dal suo braccio che quasi mi aveva ipnotizzato con la sua cantilena costante che gli usciva dalle labbra sottili e non risparmiate dai tremori. Aveva i capelli lunghi, grigi e neri, segno di una vecchiaia che sopraggiungeva lenta ed una ricrescita marcata della barba sotto il mento. La mascella era quadrata, le labbra sottili e regolari con il labbro inferiore che tremava leggermente, veniva morsicato cautamente dai dai denti, rilasciato e riprendeva a tremare. Fui catturato dagli occhi, di blu elettrico, come mai ebbi l’occasione di rivedere. Anch’essi erano frenetici, magnetici, come tutto in quell’individuo. Avrei potuto dare uno strattone el iberarmi dalla sua presa (le dita apparivano scarne e fragili a causa dei tremori persistenti), ma non lo feci. Stetti lì a sentire ripetere ancora, come in un sogno, “Allora? Adesso lo vede? Le cicatrici non si vedono quasi più.”
Annuii.
Ora anche io tremavo piano e non so se per freddo, per assurdo timore o presa di coscienza.
L’uomo rise, euforico. Non una risata di divertimento o sarcasmo, piena, ma una risata spezzata, sottile,un soffio che è ingrado di tagliare il vento.. una risata di sollievo. Il mio cuore si rannicchiò nei polmoni e nella gabbia toracica per qualche istante.
“Allora è fatta, no?” disse, sulla scia di quel riso penetrante, “Torniamo a casa!” e mosse il capo in avanti per poi reclinarlo indietro e riprendere a ridere sommessamente.
Uno dei primi raggi di sole mi fece notare, a quel movimento, qualcosa che ancora brilla nei miei occhi e riluce nel buoio della notte, tra le stelle e la luna, in ogni ricordo: era una medaglietta piccola, di metallo. Fu allora che identificai l’ uomo come un soldato. O, quantomento, prima lo era stato… Non stetti a chiedere, non avrei ricevuto risposta, e mi limitai ad osservare. Nessun dubbio sul fatto che fosse fuori di sè. Non che ce ne fosse mai stato. L’aria un po’ più mite mi consentì di sentire chiaramente l’odore di alcool che impregnava i suoi vestiti e la luce più chiara mi mostrò ampie macchie chiare e scure sui suoi vestiti logori, sul viso, sul petto, il collo e le braccia. Annuii di nuovo e lui mi lasciò andare il cappotto, spalancò le braccia, mi abbracciò stretto (il mio cuore si era catapultato in avanti adesso e correva le mille miglia) e mi lasciò andare, allontanandosi per la via ancora deserta che covava nel suo silenzio, il campanile lontano che batteva le sette del mattino. Lo sentii borbottare “e pensare che diceveno che erano cicatrici indelebili..in-de-le-bi-li..roba da matti!” e poi giù di risate roche e gracchianti e colpi di tosse.
Rimasi lì, in piedi, valigetta in mano, incapace di muovermi. Ero diventato una statua di pietra di me stesso, gelato sul posto. Lo guardai andarsene barcollando fino a che non scomparve.
Allora scossi la testa.
Quel poveretto ancora cercava la pace che aveva vinto. Forse la cerca ancora, forse adesso è a casa, qualsiasi essa sia. Forse ancora si trascina con il corpo stanco e disfatto e indosso l’invisibile cicatrice della pazzia ed il marchio a fuoco dell’orrore che naufraga in quel mare di occhi blu oceano.
Molto buono questo racconto. Le cicatrici non sono sparite ma hanno marchiato la psiche di quel soldato. Apparentemente sono sparite dal fisico ma sono rimaste nell’anima.
Racconto impregnato di sensibilità e buon gusto. A rileggerci presto. Univers