Quando David aprì gli occhi si trovò circondato dalla nebbia più fitta.
L’odore di umido delle nubi che lo avvolgevano e di terriccio bagnato era quasi insopportabile, tanto intenso da dargli alla testa.
Cercò di mettersi a sedere facendo leva sui gomiti, ma si rese conto che era impossibile. Le gambe ed una parte del torace erano schiacciati sotto la portiera della Focus blu metallica. La parte superiore del suo corpo giaceva nel foro destinato al vetro del finestrino del guidatore.
La testa gli pulsava dolorosamente e sentiva ogni singola cellula del suo organismo gridare per la tensione e lo sforzo, mentre, a fatica, spingeva la lastra metallica, le mani nella parte inferiore conficcate nei vetri sporgenti.
La portiera cedette e David si lasciò scivolare per il pendio fangoso quel che bastava a liberare le gambe.
Non era un bello spettacolo: i pantaloni, dei jeans chiari, erano strappati fino al ginocchio ed intrisi di sangue scuro che arrivava fino alla cintola.
Con cautela si tastò i polpacci per controllare l’eventuale presenza di ossa rotte o di dislocature e, con un sospiro di sollievo, non ne trovò nessuna. Ignorando il dolore causato dalle ferite, sarebbe riuscito a camminare ; magari si sarebbe spinto sulla strada e avrebbe cercato aiuto prima di sera. Guardò l’auto distrutta ed il fianco della collina dove giaceva. Era una salita ripida resa scivolosa dal fango dove non si notava la presenza di sentieri e la sua mente fu pecorsa da un’immagine fugace della morte di John Hammond in «Jurassic Park”*: non avrebbe certo fatto la stessa fine ai piedi di quella scarpata.
Nella sua mente erano presenti solo ricordi sbavati dell’incidente, ma una cosa era certa: qualcosa o qualcuno lungo la statale l’aveva fatto sbarellare a tal punto che aveva sterzato con violenza, uscendo dalla strada principale, sfondando il guard-rail e finendo in quel pantano. Il cuore gli batteva veloce, la gola era arida e piagata, mentre la nebbia si infittiva ancora di più. Si rimise in piedi con uno sforzo disumano, grugnendo e digrignando i denti. Dopo un paio di tentativi trovò l’equilibrio necessario e cominciò a camminare a stento. L’unica cosa visibile era il terreno di fronte ai suoi occhi dove la monotonia del terriccio marrone era interrotta da macchie grigie di roccia e radici spesse come femori che si intrecciavano sbucando fuori dalle spaccature della terra. Proseguì verso l’alto, lasciandosi alle spalle la carcassa del veicolo ed addentrandosi nella nebbia.
Mentre proseguiva si chiese che ora potesse essere. L’ultima volta che aveva controllato l’orologio segnava le undici e un quarto di sera, ma non sapeva per quanto tempo era rimasto privo di sensi. Dal freddo intenso poteva essere nel pieno della notte o prossimo all’alba. Camminò per più di tre quarti d’ora, percorrendo alcuni tratti a carponi, scivolando e prendendo fiato per rimettersi in piedi. Un rivolo sottile di sangue gli scorreva vicino all’occhio destro, colando lungo la tempia, le mani erano livide e le gambe facevano fatica a sorreggerlo, quando, come un miraggio nel deserto, tra la nebbia perlacea apparve l’asfalto che sostituiva il fango e l’erba umida. Cadde di schiena sulla strada, urlando, mentre una fitta di dolore gli arrivava dritta alla testa. La vista si annebbiò di nuovo, tese una mano in avanti, cercò di sollevarsi e perse nuovamente i sensi.
Si risvegliò dopo pochi secondi, le orecchie ronzanti e la nebbia ancora spessa che si sarebbe potuta tagliare con un coltello. La strada era deserta e, pensò, lo sarebbe stata ancora per parecchie ore. Nessuno si dirigeva a Mountain River senza un valido motivo durante l’autunno e, nei giorni festivi, nessuno si muoveva verso un posto tanto sperduto nei campi per nessuna ragione. Si volse verso sud e riprese a camminare. Il freddo era più in tenso, ma la nebbiolina che ora lo avvolgeva era meno lattea ed iniziava a farsi più sottile. Alla sua sinistra gli alberi fecero presto posto ad una vegetazione più brulla e comune. Dopo circa mezz’ora gli occhi di David vennero abbagliati da una leggera luce in lontananza. Dapprima pensò si trattasse dei fari di un veicolo ed il suo cuore fece una capriola. La osservò speranzoso. Aveva davvero bisogno di cure mediche. Poi, siccome la luce non accennava a muoversi, iniziò a capire. Osservando con più attenzione notò delle pallidissime sfumature di rosa, azzurro ed arancione che venavano il candore della nebbia: stava albeggiando. Faceva freddo e la nebbia trapuntava ogni cosa, quella era la caratteristica di Mountain River, ma si poteva ancora riconoscere l’alba e David sapeva che il sorgere del sole portava con sé la bellezza primaverile del piccolo paesino ghiacciato di contadini, con tiepide giornate alla lce del sole di Maggio; la mattina nulla di tutto questo era lontanamente immaginabile e su tutta la vallata regnava un autunno rigido ed umido. Ora l’aria si faceva meno pesante, i contorniemergevano a poco a poco nello spazio che lo circondava. Aveva trascorso tutta la notte a vagare per la foresta e la statale, a quanto pareva. Continuò a camminare con andatura incerta fino a che un debole fruscio non lo fece sobbalzare.
Sentì un lieve tocco su un avambraccio e si voltò di scatto.
Allungò la mano ed afferrò qualcosa di morbido e solido, dalla forma irregolare.
Lo passò tra le dita due o tre volte e poi si avvicinò per vederne meglio la sagoma. Era una spiga di grano di color sabbia, quasi pronta per il raccolto; accanto ad essa ve ne erano a centinaia, uno sterminato oceano dorato che si estendeva a perdita d’occhio alla sua destra ed alla sua sinistra.
Si trovava dunque presso un campo di grano, sulla strada per Mountain River, queste erano le sue nuove informazioni.
Deglutì.
Si guardò intorno per scoprire che la nebbia ora, sebbene continuasse a serpeggiare tra le alte spighe di grano creando percorsi inquetanti, come una vaga scia di fumo, lasciava trasparire una sagoma distorta in fondo a quel terreno color ocra che assomigliava ad una casupola di un contadino. Notò anche un’altra cosa: non vi erano sentieri che consentissero il passaggio per una via differente che non fosse il campo di fragili spighe o, perlomeno, nessun sentiero visibile da quella distanza. Non aveva le forze per cercarlo e, soprattutto, non aveva le forze per un secondo tentativo, se avesse preso la direzione sbagliata alla ricerca del sentiero.
La fronte gli si imperlò di nuovo di sudore prima caldo e poi freddo gelido.
Le unghie erano affondate nei palmi delle mani abrase e coperte di sangue, polvere e terra. Prese un profondo respiro e, incerto, si avviò verso le sottili piante di cereale che cedevano docili e fragili al suo passaggio, spezzandosi ed incurvandosi silenziosamente. Dopo pochi minuti di cammino la strada scomparve alle sue spalle, nascosta da una motitudine dorata di spighe. Pensò alle giunchiglie di Wordsworth**, ma si corresse immediatamente; no, quelle infiorescenze, il loro colore così pallido e quasi morto nella nebbia mattutina dell’alba non avevano nulla a che vedere con la visione del poeta, tanto erano distanti e tristi, non danzavano con prepotente vitalità, ma si limitavano ad oscillare impotenti alla brezza gelida e sibilante, non parevano astri lucenti,ma gusci vuoti e privi di essenza che si allungavano come artigli dal sottosuolo. Il suo respiro si fece più affannoso mentre avanzava. Si era prefissato di proseguire in linea retta fino alla fine del campo, una volta uscito avrebbe cercato la casa, o avrebbe strisciato fino ad essa con i gomiti, dato il dolore alla gamba che si intensificava ad ogni contrazione muscolare.
Non avrebbe retto più di mezz’ora se si fosse perso in mezzo a tutto quell’ondeggiare mortuario, e solo il cielo sapeva quanto fossero insidiosi i campi di grano. Perdersi era facile e veloce come sbattere le palpebre in una giornata assolata: al primo istante si svoltava a destra, al secondo a sinistra ed al terzo si ci perdeva nella vastità e nel silenzio. David continuò a camminare, a denti stretti, voltandosi occasionalmente al frusciare ed allo stormire delle spighe dietro a sé. Non riusciva più a sopportare il dolore. Cercò di concentrarsi su qualcos’altro, un’immagine, un volto..
E, dopo tanti anni di silenzio ininterrotto da parte di un angolo della sua memoria, la parte più recondita ed antica dei suoi ricordi, in mezzo alla foschia ed all’erba giallastra, riapparve l’unico viso che per anni aveva cercato di cancellare dagli occhi. Faith. Il suo volto era impresso a fuoco nel suo sguardo mentre si trascinava sempre avanti, il biondo scuro dei suoi capelli si confondeva ora con le spighe di grano che si inclinavano lente, gli occhi azzurri come specchi d’acqua con l’angolo di cielo che la nebbia non riusciva più a celare. «Vattene» pensò con intensità David, mentre cento urla di dolore esplodevano in cento e cento scheggie ed un’altra voce all’interno della sua mente si aggrappava a lei, al suo ricordo, così presente che il corpo sentiva che, se avesse osato alzare un braccio, l’avrebbe sfiorata e avrebbe di nuovo sentito il profumo di erba appena tagliata, avrebbe giocato con le sue trecce piene di margherite, di viole, di spighe verdi e gialle alle soglie della primavera, avrebbe contato le lentiggini sulle guance ancora e ancora, sempre, sempre, sempre, in un’immenso turbine di ore, secondi, minuti infiniti ed identici.
Grosse lacrime gli scendevano ora lungo le guance, lavavano via il sangue, lo sporco e facevano passare l’aria, respirava con la bocca aperta, irregolarmente, a grandi boccate, tra singhiozzi sommessi.
Non avrebbe mai dovuto salire in macchina, pensare di poter tornare là e non trovarla e stare bene e vivere, vivere, quando la sua vita era finita.
Se David fosse stato cosciente e lucido, avrebbe imputato tutte quelle sensazioni, quelle visioni al dolore. Ma la sua mente vagava, lontana da quel campo di grano, dalla nebbia, dall’alba del presente e si allontanava in un altro campo di spighe gialle come il sole d’estate e non frusciavano, lasciando frinire le cicale con dolcezza nell’afa e nell’assenza di vento. Allora lo spazio non faceva paura. La ragazza correva davanti a lui, lo prendava in giro, rideva e David, il giovane David, la seguiva, stava al gioco, rispondeva ai suoi richiami. Faith spariva ogni tanto dalla sua vista e si confondeva prima con il grano biondeggiante e poi con il disco incandescente del sole, si fondeva con esso e si scindeva continuamente. Sembrava che il Paradiso non avesse nulla di più bello da offrire. Nessuno gli aveva detto quanto fossere pericolosi quei campi, né che era il periodo della mietitura, né che i sentieri non erano ancora stati liberati. Lei correva e lui correva, lei rideva e lui rideva, senza pensare. Erano sordi al mondo, ciechi alla vita, concentrati l’uno sull’altro. E poi, così d’un tratto, Faith era sparita. Subito aveva pensato ad uno scherzo della ragazza, ma non si decideva a venire fuori. Aveva chiamato e chiamato, corso, urlato e si era perso. Quando era uscito dal campo e avava visto i contadini riuniti ad una capannina non vi aveva dato molto peso, ma si era avvicinato per chiedere aiuto, magari avrebbero potuto.. si era bloccato. Aveva visto il cappellino di Faith sul trattore più grosso di uno degli uomini ed il sangue che colava giù sulla gomma spessa e nera della ruota. Poi l’aveva vista, riversa sulla schiena. Era irriconoscibile, il sangue le copriva tutto il corpo, le trecce bionde, le lentiggini, le labbra e persino gli occhi azzurro acquamarina, ancora sbarrati. David cadde, tornando bruscamente al presente, dritto sul viso. Sentì un dolore nuovo penetrare nella gamba destra che lo sorreggeva, poi un altro, in rapida successione al fianco destro, alla spalla, la caviglia sinistra. Sentì qualcosa che digrignava i denti nella sua carne e poi li affondava ancora ed ancora. Urlò fino a sentire i polmoni cedere e poi urlò ancora quando il dolore si rinnovò. «Basta! Basta! Ti prego» mormorò a bassa voce «Ti prego, fallo smettere. Fallo smettere una volta per tutte! Basta!» Gli sembra di udire dei corvi gracchiare lontano. Dei guaìti… Poco dopo, il dolore cessò. La vista di David si oscurò di nuovo e l’uomo desiderò fosse per sempre.
Qualche ora dopo si svegliò con fitte lancinanti in un letto dimesso accostato ad una parete storta e spoglia. Accanto vi era un piccolo focolare ed un tavolino di legno. Cercò di sollevarsi, ma cadde rumorosamente sul piccolo giaciglio. Un uomo anziano comparve sulla soglia. Aveva la pelle arsa e scurita dal sole, con profonde rughe che gli marcavano il profilo del viso e dita lunghe ed ossute. Svenne di nuovo.
Quando riprese conoscenza si ritrovò disteso nel campo e, nel momento in cui si alzò, una nuvola nera di corvi si alzò infuriata dal disturbo della sua presenza.
Riprese a camminare,ma smise di chiedere, diretto verso Mountain River, un punto avvolto ancora nella nebbia.
Questa volta,però, la nebbia era solo nei suoi occhi,persi nel vuoto.
_____note: ______
* «Jurassic Park»: romanzo di M. Crichton pubblicato nel 2005.
** « giunchiglie di Wordsworth » W. Wordsworth; Daffodils; Lyrical Ballads